
Un uomo, Badii, vaga da solo in auto per la periferia di Theran, alla ricerca di qualcuno che lo aiuti nel suo progetto di suicidarsi. È deciso a farla finita con la vita, anche se non ci è dato sapere per quale motivo. Possiamo solo vedere con i nostri occhi che è lucido, sereno, determinato, per nulla sconvolto da passioni e turbamenti. Quasi ci disturba, perché la sua scelta ci appare incomprensibile: non è malato (o almeno non ci viene detto), non ha apparentemente un motivo vero e proprio per suicidarsi. Eppure la sua decisione è presa e si tratta solo di trovare qualcuno che gli dia sepoltura, dopo la morte. Incontra un soldato giovane, una recluta, che di fronte a questa bizzarra richiesta, fugge via spaventato. Poi è il turno di un religioso, un allievo della scuola cranica, che forte del proprio sentimento religioso cerca di convincere Badii che la vita è un bene sacro, un bene che viene da Dio e che l’uomo può soltanto custodire, non distruggere. Alla fine incontra l’anziano Bagheri, custode del museo di storia naturale all’università. Il vecchio si dice disposto ad aiutare Badii, ma mentre i due vagano sulle colline intorno alla città, Bagheri prova a spiegare al suo compagno di viaggio i motivi per cui egli stesso, tentato dal suicidio, aveva rinunciato, anni prima:
“Permettimi di raccontare…era l’inizio del mio matrimonio, avevo passato tanti di quei guai, di tutti i tipi, ero esausto che ho deciso di farla finita, di liberarmi di questi problemi…la mattina presto mi sono alzato, ho preso la corda e l’ho messa dietro la macchina, per andare a farla finita per sempre, per andare a suicidarmi. E sono andato, ero dalle parti di…nel ’60. C’era una piantagione di gelsi, vicino alla nostra casa, era buio. Ho gettato la corda ma ogni volta non si agganciava. Ho tirato una volta, niente. Una seconda, niente. Alla terza sono salito sull’albero, sono salito e l’ho legata. Ho sentito qualcosa sotto la mano, era un gelso. Dei gelsi. Dolcissimi, il primo l’ho mangiato, ho mangiato pure il secondo. E poi ho mangiato anche il terzo. A un certo punto ho visto il cielo che si stava schiarendo, il sole era sorto…che bel sole, che vista, quanto verde…a quel punto ho sentito le voci dei ragazzi, che andavano a scuola…avevano visto che io mangiavo i gelsi e hanno detto: ‘scuoti l’albero!’, io ho scosso il ramo e loro hanno mangiato, loro mangiavano e io ero contento. Poi ho scelto un po’ di gelsi, li ho chiusi in una foglia e mi sono presentato a casa con quel regalo. Mia moglie non si era ancora alzata. Ne ho dati un po’ anche a lei. Anche lei li ha mangiati, anche lei li ha gustati. Ero andato per suicidarmi e sono tornato con i gelsi. Hai capito? Mi ha salvato un gelso…il mio pensiero è cambiato, niente si era risolto, però il mio pensiero è cambiato, ho cambiato umore”.
Al di là del lirismo racchiuso nelle parole di Bagheri, sembra interessante analizzare lo smarrimento del protagonista, che non riesce a capire la ragione per cui un semplice gelso possa aver fatto cambiare idea ad un uomo deciso a porre fine alla propria vita. Il film gioca sulla demolizione delle certezze, sia in positivo che in negativo: il religioso e il soldato sono convinti che mettere fine alla propria vita sia assurdo e scappano via di fronte a Badii. Lo stesso Badii è convinto che la vita non abbia più alcuna attrattiva per lui e quando scopre che un altro uomo, animato dalle sue stesse convinzioni, si è lasciato deviare nel proposito di morire solo dal sapore di una ciliegia, entra in crisi. E difatti si lascia andare a qualche ripensamento:
“Se però tu vedi che io respiro ancora e che non mi sono suicidato…non mi coprire di terra…hai capito? Non mi devi coprire, perché vuol dire che non mi sono suicidato…”