
Si può guardare ad altri in due modi (semplificando): da “consumare” o da “curare”.
Si può trattare altri come risorse per conseguire determinati vantaggi o un certo benessere. Cioè si può trattare altri come oggetti di consumo, esattamente come si fa per i vari prodotti che servono a riempire il carrello al supermercato. L’altro può essere poi “consumato” in vari modi (la storia umana è per buona parte il risultato di questo “consumo”): può essere sfruttato nel lavoro, può essere abbandonato nell’indigenza, può essere disprezzato, può essere brutalizzato e torturato, può essere tradito o calunniato ecc. ecc. Tutto questo perché il “caro io” (diceva ironicamente E. Kant) sia nutrito al meglio.
Oppure l’altro può essere “riconosciuto” nella sua grandezza di persona e fatto oggetto non solo di rispetto, ma anche di attenzione amichevole. L’attenzione amichevole è l’attenzione di chi prende sollecitudine per il bene dell’altro. In certo modo, ne ha cura; in certo modo, lo protegge e lo libera dal male.
Si è già inteso che questa seconda maniera è quella che fa fiorire un essere umano. L’altra, la prima, lo conduce a morte, perché muore nella propria umanità anche colui che fa morire. E quindi si è già inteso che il cambiamento che val la pena perseguire, perché è il primo e il più “regolativo” di tutti i possibili cambiamenti dei rapporti tra noi, è il cambiamento che orienta alla buona complicità con l’altro uomo.