
Negli USA quasi un quinto dei pazienti, in prevalenza anziani, dopo una prima ospedalizzazione va incontro a un secondo ricovero nel mese successivo anche per cause diverse dal precedente. È questa la finestra temporale in cui si manifesta la “sindrome post-ospedaliera”, ovvero un periodo transitorio di vulnerabilità acquisita dopo le dimissioni. Come porre rimedio?
In una interessante intervista, condotta dal New England Journal of Medicine all’inizio del 2013, il Dr Harlam Krumholz, della Yale University School of Medicine, identifica la necessità di intervenire sull’organizzazione della gestione dei pazienti chirurgici ricoverati per eventi acuti: secondo l’intervistato da un lato è richiesta maggiore attenzione ai bisogni primari del paziente durante il ricovero (da non sottovalutare il problema delle infezioni nosocomiali), dall’altro accompagnarlo nella fase post dimissioni per facilitarne il recupero.
Diversi sono i fattori identificati che accomunano i pazienti affetti dalla sindrome post dimissioni: il dolore, i disagi provati durante il ricovero, gli orari spesso imprevedibili, i disturbi dell’umore, la somministrazione di benzodiazepine in terapia sintomatica, tutti elementi che concorrono nel predisporre il paziente a problematiche secondarie e che influenzano in modo negativo l’adesione del paziente alla terapia prescritta per il periodo post dimissioni.
Per porre rimedio all’eventualità di un secondo ricovero con diagnosi diversa, è necessario un approfondito studio sui pazienti ricoverati per una seconda volta per cause diverse dalla prima ospedalizzazione. Lo studio deve indagare i fattori concausali del secondo ricovero per consentire di intervenire sull’organizzazione ospedaliera per evitare in futuro danni secondari ai tentativi ospedalieri di risolvere la patologia acuta che ha portato il paziente in ospedale.
Fonte: H. M. Krumholz, 2013. Per approfondimenti: The New England journal of Medicine