
Ma torniamo alla radice dell’affezione, cioè alla sua “passività” (passione) e alla sua “attività” (emozione) per coglierne in qualche modo la portata più profonda. Ho già detto implicitamente che il passivo viene prima dell’attivo, giacché ho detto che l’attivo dell’affezione (l’emozione in senso proprio) segue al “colpo” patito. In effetti, senza il “colpo” patito, nessuna emozione in atto è possibile. Se non ricevo una lode, non provo sentimenti di gioia e di autostima, se non ricevo un’accusa (fondata), non provo sentimenti di colpa o di disistima. Ma l’essere “colpiti” non è solo una faccenda del corpo. Anche questo ho detto implicitamente. Si è “colpiti” anche – anzi soprattutto – nell’anima. S’intende, non allo stesso modo.In quanto il passivo precede l’attivo possiamo dire che “essere affetto” è l’attributo primo di un essere umano. L’affermazione diventa ancor più evidente, se si pone pure mente al fatto che un essere umano è essenzialmente una relazione a qualcuno (e a qualcosa), ma come dipendente dal qualcosa a cui dice relazione. In altri termini, un essere umano è prima di tutto un essenziale accogliere. Tocchiamo così il terzo ed ultimo livello di possibile determinazione dell’affettività, dove il nostro stesso esserci, come relazione, sta perché “affetto” da tutto ciò che sta al mondo. Per questo il “mondo degli affetti” è vissuto simbolicamente come il nostro mondo più proprio, ossia il mondo che siamo.