La sofferenza oggi è considerata un sentimento sterile, anziché un moto dell’anima grazie al quale ciascuno ha la possibilità di comprendere più a fondo sé stesso e di reinventarsi, ridisegnando la propria esistenza. I difetti fisici sono drammatizzati e camuffati in nome dell’aderenza al modello di perfezione estetica irraggiungibile proposto dai mezzi di comunicazione, invece che valorizzati in quanto elementi di fascino. Kintsugi ci mostra come da una ferita risanata può nascere una forma di bellezza e di perfezione superiore. I segni impressi dalla vita sulla nostra pelle e nella nostra mente hanno un valore e un significato, dalla loro accettazione scaturiscono processi di rigenerazione e di rinascita interiore che ci rendono persone nuove e risolte. Attraverso lo strumento comunicativo della danza si vuole porre l’attenzione dello spettatore su una filosofia assai distante da quella tipica delle società occidentali, dove il valore affettivo viene sempre più spesso sacrificato a quello materiale. Due quadri compongono lo spettacolo e ciascuno racconta il percorso dalla rottura alla riparazione in due diverse situazioni di sofferenza.