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C’È ANCORA SPERANZA. Intervista a Valeria Barbi su biodiversità e rewilding

martedì 29 ottobre 2024

di Francesco Seganfreddo

Domenica 29 settembre, in occasione del Festival Hangar Palooza 2024, Fondazione Zoé ha promosso un evento aperto al pubblico “BIODIVERSITÀ: COS’È E PERCHÉ È IMPORTANTE PER IL PIANETA E PER NOI”. Protagoniste dell'incontro sono state Valeria Barbi, naturalista e giornalista ambientale, e Giorgia Bollati, giornalista esperta di sostenibilità, scienza e bioedilizia.

Al termine dell’evento, abbiamo avuto l'opportunità di intervistare Valeria Barbi, che ci ha raccontato alcuni temi scientifici esplorati nel suo libro “Che cos’è la biodiversità, oggi”, a cura di Edizioni Ambiente, e nel suo ultimo reportage WANE – We Are Nature Expedition, da cui nascerà il nuovo libro di cui è autrice, edito da Laterza, in uscita tra la primavera e l’estate del 2025.

BIODIVERSITÀ: COS’È E PERCHÉ È IN PERICOLO

“Partiamo dalle basi. Durante l’incontro hai definito la biodiversità come la biblioteca della vita sulla terra. Perché, tra le tante definizioni, questa rimane la tua preferita?”

“È una definizione che mi piace tantissimo! Se ci pensi, perché andiamo in biblioteca? Perché abbiamo voglia di imparare qualcosa, perché siamo curiosi, perché ci interessa leggere una storia. Quando ci immergiamo nella natura e ci guardiamo intorno, possiamo scoprire l’arte della collaborazione. Pensa, ad esempio, alle formiche taglia foglie, che ingegnere provette! Nella natura possiamo anche attingere a conoscenze legate alla medicina. Come gli alberi: circa 35000 specie di piante vengono utilizzate a scopo medicinale. Qualsiasi cosa che riguarda la natura ci insegna qualcosa, come fosse un libro. La natura è un libro che è ancora tutto da leggere. Abbiamo catalogato 8,9 milioni di specie, ma sappiamo che potrebbero essercene addirittura miliardi. Se non è una biblioteca questa!”

Valeria Barbi trascorre gran parte della sua vita esplorando il "libro della biodiversità" in giro per il mondo, per poi usare ciò che apprende nella sua attività di giornalista, speaker e consulente. La sua ultima avventura è stata una spedizione di 22 mesi lungo la Panamericana, dall'Alaska all'Argentina, per realizzare un reportage sulla perdita di biodiversità e raccontare i progetti di conservazione che cercano di invertire questa tendenza. Una raccolta di interviste e storie che si collegano ad una delle più grandi crisi del nostro tempo.

La perdita di biodiversità è un fenomeno ben documentato dalla Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (IPBES), la principale autorità scientifica globale su questi temi. I rapporti dell'IPBES offrono un quadro esaustivo dello stato degli ecosistemi e del loro degrado, come il Global Assessment Report del 2019, la prima valutazione completa sulla crisi globale della biodiversità. I numeri parlano chiaro: gli ecosistemi naturali sono declinati del 47% rispetto alle condizioni originali e il 25% delle specie studiate è a rischio di estinzione.

Di fronte a questi dati allarmanti, ci chiediamo quale sia il motivo di questa crisi. La risposta è chiara: noi esseri umani. La perdita di biodiversità è infatti una conseguenza diretta delle attività umane. Ce lo ha spiegato Valeria Barbi:

“I 5 fattori principali, identificati dall’IPBS, sono cambiamenti climatici, inquinamento, sovra sfruttamento, perdita di habitat e diffusione di specie aliene. Sono questi i principali responsabili della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi. La cosa importante da sottolineare è che sono tutti dovuti alle attività umane, niente di questo è naturale. Pensiamo all’inquinamento da plastiche, microplastiche e fertilizzanti; oppure alla deforestazione, e al bracconaggio. Considera questo dato: il 90% della deforestazione a livello mondiale è dovuta all’espansione agricola (con un 80% dei prodotti ottenuti, destinati agli animali considerati da reddito come mucche, maiali, galline…), di cui un 40% al solo allevamento. Ribadisco, questi fattori sono solo causa nostra.”

UNA SOLUZIONE: IL REWILDING

La perdita di biodiversità è un problema complesso, causato da diversi fattori, e per affrontarlo è necessario adottare soluzioni altrettanto articolate. Esistono varie strategie per contrastare questa crisi, dalla creazione di parchi e riserve naturali al contrasto alla deforestazione, passando per incentivi economici a favore della decarbonizzazione (i discussi carbon e nature credits) che, pur non essendo la sua “opzione favorita”, sono comunque un elemento da tenere in considerazione, ma non devono essere interpretati - e usati - per consentire alle imprese di continuare nel loro fallimentare business as usual. Valeria Barbi, durante l’incontro, ci ha parlato del rewilding, una strategia finalizzata a consentire alla natura di riprendersi grazie alla conservazione e al ripristino dei meccanismi che rendono funzionali gli ecosistemi. Pratica di cui, peraltro, ha osservato gli incredibili effetti durante molte delle sue esplorazioni. Le abbiamo chiesto in cosa consiste e di raccontarci qualche esempio.

“Il rewilding è una strategia di conservazione che parte dall’evidenza che la natura riesce a riprendersi, se le diamo gli strumenti per farlo, come ad esempio reintroducendo alcune specie nei loro habitat. Tra i progetti di rewilding più strabilianti che ho documentato c’è sicuramente quello della reintroduzione del giaguaro nell’Esteros del Iberá, un luogo straordinario, la seconda area umida più grande dell’America Latina dopo il pântano brasiliano. Lì, il giaguaro, una specie chiave e un predatore fondamentale, era stato estirpato alcuni decenni fa a causa della caccia, poiché si tratta di un’area a vocazione quasi esclusivamente ganadera (come si dice in spagnolo), cioè dedicata all’allevamento. Il giaguaro è stato reintrodotto e si cominciano già a vedere i primi cambiamenti. Non solo in termini di turismo, con nuovi introiti e benessere per la comunità (che è piuttosto povera) ma anche in termini ecologici. Circa il 70% della dieta del giaguaro è costituita dal capibara, un grande roditore che consuma una gran quantità di erba. Riducendo il numero di capibara, si permette alla vegetazione di riprendersi, contribuendo anche allo stoccaggio di carbonio.”

Il rewilding, oltre ad essere un’importante strategia di mitigazione degli impatti della crisi climatica, è una strategia di conservazione utile non solo in contesti rurali o selvaggi: può essere applicato con successo anche nelle aree urbane. In questi scenari, la reintroduzione di specie animali e vegetali può essere una valida alternativa alla costruzione di infrastrutture ad alto impatto ambientale, come dighe e ponti.

 

Foto 1 di Hangar Palooza
Foto 2 di Joanne de Graaff su Unsplash