Viaggio nel cervello di un musicista accompagnati da Alice Mado Proverbio, docente di Neuroscienze cognitive
di Silvia Giralucci
Come fa il cervello di un musicista a leggere le note e a tradurle in movimenti accuratissimi molto velocemente? In che modo la musica riesce a farci provare emozioni? E perché quando ascoltiamo un brano ritmato proviamo il desiderio di muoverci? A tutte queste domande, e molte altre, risponde la professoressa Alice Mado Proverbio, docente di Neuroscienze cognitive, al Milan Center for Neuroscience dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, nel libro “Neuroscienze cognitive della musica” recentemente pubblicato da Zanichelli. In un incontro con il Direttore Generale di Fondazione Zoé – Zambon Open Education, Mariapaola Biasi, nell’ambito degli incontri “Gli Orizzonti della Salute” la neuroscienziata ha fatto una carrellata di alcune tra le più importanti scoperte scientifiche sul cervello musicale mettendo in luce come un’educazione musicale solida e precoce sia addirittura in grado di creare un circuito diverso in grado di aiutare a leggere chi soffre di dislessia e costituisca una riserva protettiva di connessioni in grado di attivarsi e di ritardare, o rallentare, l’evoluzione di malattie neurovegetative come la demenza, l’Alzheimer, la malattia di Parkinson.
“Ci sono tanti aspetti – spiega Alice Mado Proverbio – della vita mentale che coinvolgono la musica: non solo suonare uno strumento ma anche saper ascoltare, saper cantare, saper leggere uno spartito, saper suonare assieme, comprendere la gestualità del direttore d’orchestra, saper comporre, saper danzare a ritmo, saper ricordare una canzone. Tutto questo fa riferimento a dei processi mentali che i neuroscienziati studiano da anni e che sono comuni ad altre funzioni”.
La ricerca ha messo in evidenza come il cervello utilizzi circuiti diversi e aree specifiche per il movimento, la lettura, la memoria, la percezione uditiva, la creatività, il linguaggio. Per questo i neuroscienziati negli ultimi anni hanno cercato di capire che cosa succede nel cervello di un musicista quando legge uno spartito e suona. Un processo non semplice: il cervello infatti deve attivare la corteccia visiva per decifrare i simboli delle note, quella semantica per trasformare quel che vede in movimento delle mani e delle dita, poi dovrà ascoltare il suono che ha prodotto e ritoccarlo se non va bene e per compiere questi processi usa zone del cervello diverse.
Anche la percezione estetica della musica ha basi neurobiologiche. “La musica – spiega Mado Proverbio – è in grado di indurci un certo stato d’animo perché si basa su stimoli acustici ondulatori che attivano nel nostro cervello un circuito che normalmente supporta tutte le sensazioni di piacere, il circuito dopaminergico del piacere. Quando ascoltiamo una musica ritmata invece, questo ritmo stimola i centri del movimento. Per questo ascoltare una musica che piace stimola la sensazione di piacere e induce il movimento”.
Saper leggere le note può aiutare le persone con dislessia?
Lo sanno bene i bambini che iniziano studiare musica: solfeggiare non è per niente facile.
Bisogna fare analisi del dettaglio locale – identità della nota e degli accidenti (diesis, bemolle, arcate, abbellimenti, corone…) durata del suono (minima, semicroma…) e poi un’analisi dello spazio globale – posizione spaziale delle note sul pentagramma, delle note tra di loro (accordi), indicazioni espressive orizzontali (legato, raccontato, crescendo…). Per fare questa doppia analisi il cervello usa l’emisfero sinistro per l’analisi del contesto locale e quello destro nell’analisi dello spazio globale. Dopo aver codificato il dettaglio e la parte più ampia dello spartito, questo viene trasformato in comando motorio. Per riconoscere le note il musicista utilizza una specifica zona della corteccia occipitale destra che nelle persone che non hanno studiato musica non esiste, una zona che si attiva nei musicisti dopo anni di esercizio nel riconoscere le note. “Questa zona – spiega Mado Proverbio- è coinvolta anche nella lettura delle parole, se osserviamo il cervello di un musicista mentre legge non musica ma parole, vediamo che attiva anche questa zona. Questa osservazione che abbiamo condotto dimostra che lo studio della musica ha un effetto importante sulla capacità di lettura e in particolare previene o riduce la gravità della dislessia fonologica, perché con lo studio della musica si forma un secondo centro di lettura che nei soggetti che non sanno leggere le note rimane inattivo, un centro che si trova nell’emisfero destro, nella corteccia occipitale destra. Nel soggetto con dislessia questo centro è molto utile perché supplisce alla mancanza della funzionalità della regione omologa di sinistra”.
Studio della musica e malattie neurodegenerative
Il cosiddetto “orecchio assoluto”, ossia la capacità di stabilire con certezza – in assenza di punti di riferimento – l’altezza di una nota, è un’abilità regolata da una predisposizione genetica ma nella quale conta moltissimo l’aver precocemente appreso un’associazione precisa tra il suono e la nota. Gli individui con l’orecchio assoluto hanno sviluppato, soprattutto con l’esercizio, una regione specifica del cervello per la codifica uditiva dei suoni.
Anche in chi non ha la fortuna di avere la predisposizione per l’orecchio assoluto, la formazione di nuove sinapsi utili nell’ambito musicale si basa sulla quantità di esercizio, sul tempo dedicato alla pratica. Per diventare eccellenti musicisti, è stato calcolato, sono necessarie almeno 10 mila ore di studio entro i 20 anni. Recenti ricerche hanno dimostrato che la plasticità acquisita con le ore di training musicale ha una grande rilevanza anche in pazienti clinici. Purtroppo dopo i 35 anni, la nostra intelligenza fluida, quella che si basa sulle connettività inizia a decadere e poi progressivamente sempre di più. Per questo motivo peggiorano le attività cognitive e motorie (in particolare il tempo di reazione, la prontezza di riflessi, la capacità di risolvere problemi…). Questo fenomeno fortunatamente è dissociato rispetto all’intelligenza cristallizzata (le nostre conoscenze) che invece aumenta sempre di più. “Lo studio della musica, la pratica musicale, ma anche le attività sportive e motorie – conclude Mado Proverbio – con la loro capacità di attivare connessioni costituiscono una riserva protettiva per malattie neurodegenerative come la demenza, l’Alzheimer, la malattia di Parkinson e i disturbi del movimento, così anche per le problematiche cliniche come disturbi del linguaggio, afasia, balbuzie, dislessia…”.
Photo by Kelly Sikkema on Unsplash