di Silvia Giralucci
La pandemia che stiamo attraversando ha colpito le fragilità, personali e istituzionali, e mandato in tilt le interconnessioni su cui si fonda il mondo che abbiamo fino a oggi conosciuto. Questa crisi globale segue, solo negli ultimi 19 anni, altre due importanti crisi: l’emergenza terrorismo del 2001 e la crisi economica del 2008. “Dalle crisi profonde si esce o migliori o peggiori. È rarissimo che si esca uguali. Noi dobbiamo almeno provare a uscire migliori”, dice Mauro Magatti, sociologo ed economista, docente dell’Università Cattolica di Milano.
Nel corso degli incontri “Gli Orizzonti della Salute” organizzati da Fondazione Zoé – Zambon Open Education a Vicenza, Magatti ha paragonato la pandemia a una profonda crisi, uno shock collettivo e individuale al quale dobbiamo rispondere cambiando modi di fare, di essere, di ragionare, di operare. “Non sarà possibile uscire da questa crisi chiudendola tra parentesi”.
“Forse – spiega Magatti – ci è capitato di conoscere qualcuno che è passato attraverso un trauma. Qualcuno non ne esce, qualcuno lo attraversa e, un po’ miracolosamente, il trauma gli consente non solo di iniziare un’altra vita, ma anche di vivere pienamente. Il trauma impone di abbandonare una serie di certezze, perché quando hai perso tutto non hai più paura di vivere. La catastrofe può diventare vitale se noi passiamo dal riconoscimento di questa nostra sconfitta. La nostra società in questo momento è sconfitta. Oltre alla conseguenze economiche e sociali, questa crisi influenza le prospettive di vita di un’intera generazione. E forse la sconfitta, se la riconosciamo come tale, ci può sollecitare a fare un passo in avanti: ecco che cosa si intende per catastrofe vitale”.
“La risposta a questa situazione – prosegue Magatti – non è fare qualcosa e tornare come prima. Stiamo vivendo in un mondo pieno di rischi ma anche di opportunità: l’unica nostra speranza è di provare ad applicarci a queste opportunità, altrimenti verremo travolti dal punto di vista economico, sociale e politico”.
Su quali piste possiamo lavorare? Sostenibilità e digitalizzazione sono le linee guida individuate dall’Europa, ma da sole non bastano. “La digitalizzazione – afferma Magatti- ha potenzialità enormi: può favorire la pluralità, può ricomporre diversamente il globale e il locale, può rendere possibili nuove forme di socialità, ma contiene dei rischi giganteschi. Il digitale può, da un lato, spingere all’effetto Grande Fratello e alla concentrazione di potere, e può essere visto come uno strumento di controllo e dominio – tra capitalismo e sorveglianza – capace di trasformarci in atomi ancor più individualizzati. Sostenibilità e digitale possono essere una vera fregatura perché si possono ottenere in modo totalmente tecnocratico e con un livello di concentrazione del potere stratosferico, senza democrazia. Devono essere accompagnati da un investimento sulle persone, sulla qualità dei territori, dalla decentralizzazione. La sostenibilità deve essere legata a libertà, solidarietà e sussidiarietà”.
La via della resilienza trasformativa deve necessariamente passare per la parola chiave “cura”. Una cura che riguarda anche la sanità: in una società avanzata la cura della nostra salute personale e collettiva è un bene, in senso economico. Mentre fino ad oggi è stata considerata soprattutto un costo. “La domanda – prosegue il sociologo – che ci facciamo ora è: quali sono i beni che produciamo? Quali possono aiutarci a uscire da questa crisi? Quali sono i nuovi beni di cui abbiamo bisogno per aumentare la nostra qualità della vita? Non ho una risposta ma di sicuro è necessario porsi il problema: capire, per esempio, che la salute non è un costo e non è un bene privato”. La cura deve passare anche per la cura delle persone, lungo tutto l’arco della loro vita: “Possiamo contare – dice Magatti – sulla libertà delle persone solo se le accompagniamo nella formazione per tutta la vita. La libertà o la costruiamo insieme o implode”.
E infine l’organizzazione politica: “Questa crisi ci dice che forse abbiamo bisogno di riorganizzarci costruendo confini. Tra globalismo e localismo esiste una via di mezzo: siamo dentro un unico pianeta, non ci si può sottrarre dal globale, però abbiamo bisogno di spazi più limitati che facciano da filtro tra l’esperienza delle persone, soprattutto tra chi è un po’ più fragile e i grandi processi. Abbiamo bisogno di costruire livelli di governo intermedi, dove ogni livello intermedio riconosce i legami con il livello superiore, arrivando fino allo spazio piccolo, il territorio. Sostenibilità e digitalizzazione sono pilastri importanti. Sono elementi fondamentali del nostro futuro ma non bastano. Noi dobbiamo contemporaneamente investire nelle persone, nelle loro competenze, nelle loro capacità e, insieme, nelle relazioni dei territori”.
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