Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, spiega come progettare “una vita buona” per ultraottantenni non autosufficienti.
di Silvia Giralucci
Guardare in faccia la realtà, partendo dal bisogno vero delle famiglie italiane, ripensando per gli anziani sia le residenze sanitarie assistite sia l’assistenza domiciliare, percorsi paralleli per esigenze diverse. È quanto auspica Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria , autore del libro “Una lunga vita buona. Il futuro delle RSA in una società che invecchia”.
Durante l’epidemia di Covid 19 le residenze per anziani sono state al centro dell’attenzione con tanti esempi di gestione efficace alternati purtroppo a situazioni drammatiche, ma anche guardando oltre la pandemia è chiaro che il futuro della nostra società va progettato tenendo presente il bisogno di conciliare la libertà degli anziani con la loro necessità di protezione: per costruire una “buona vita” per gli ospiti bisogna aver chiaro quali sono le loro esigenze e quale sarà la nostra struttura sociale.
Partiamo dai dati. Gli over 85 sono destinati ad aumentare in maniera inesorabile, nel 2030 in Italia saranno circa mezzo milione. Chi saranno e che bisogni avranno? “La solitudine – afferma Trabucchi – prima ancora di parlare di salute, è ciò che caratterizza nelle città la condizione di metà degli anziani, e questa condizione rende difficile e complessa anche l’assistenza domiciliare. Una persona che vive da sola anche se viene assistita da medico, infermiere, OSS due volte al giorno, non è in grado di realizzare tutto quello che gli viene consigliato, indicato, prescritto. Per questo il problema della solitudine è il problema principale per il futuro e purtroppo anche un problema con poca soluzione: la famiglia si sta disgregando, e gli anziani soli saranno sempre di più. Dobbiamo avere il coraggio di leggere la realtà: pensare di costruire un futuro nel domicilio della persona malata, fragile, non autosufficiente è in alcuni casi fattibile, ma molto spesso non più realizzabile. Questi cittadini hanno bisogno di un’assistenza sulle 24 ore, che contempli sia atti di cura, indispensabili per garantire la sopravvivenza, sia atti di sorveglianza, resi necessari dalla mancata autonomia. In questi casi l’organizzazione di un’adeguata assistenza è possibile solo in una struttura dove la persona fragile riceve cure adeguate e senza interruzione. L’ingresso non è provocato dal capriccio di una famiglia egoista, ma perché non è tecnicamente possibile organizzare a domicilio un’assistenza di intensità adeguata”.
“Per questo motivo – prosegue Trabucchi – dobbiamo investire in case di riposo che siano in grado di accogliere persone sempre più vecchie, sempre più malate, sempre più non autosufficienti e anche con demenza. Oggi in molte strutture il 65 – 70% degli ospiti hanno la demenza. Verso di loro anche l’assistenza è difficile. Come si esprime concretamente la libertà e la dignità di una persona con demenza, che ha una forte dipendenza, che rischia di avere disturbi comportamentali, che fatica ad avere relazioni con gli altri ospiti? Sono tutti problemi enormi. Proprio per questo le RSA dovrebbero essere al centro di studi e ricerche più di altri contesti. Sono strutture destinate a cambiare. La grande sfida sarà aumentare l’intensità clinica della cura lasciando però la libertà di movimento e di socializzazione che è propria delle RSA, ossia cambiare le residenze sanitarie, dove i pazienti vivono anni, senza trasformarle in ospedali”.
Un’attenzione va riservata anche al luogo in cui vengono costruite le residenze per anziani: “È sbagliato – dice Trabucchi – costruire le RSA in mezzo ai campi, perché se una persona per andarci deve passare mezz’ora in autobus o spendere i soldi per il biglietto finisce che non ci va e viene meno la relazione, che invece è importantissima”.Anche l’assistenza domiciliare, che può dare risposte a situazioni di minore gravità clinica e assistenziale, va ripensata: “Sono necessari – conclude Trabucchi – servizi che rispondano rapidamente alla richiesta di soccorso (o anche alla sola richiesta di consigli); è quindi indispensabile anche in questa prospettiva che si compia una radicale riorganizzazione della medicina di famiglia. All’assistenza domiciliare vanno dedicati investimenti adeguati, con modelli che consentano di dare risposte adeguate alle necessità molto specifiche e differenziate delle famiglie”.
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