Chi parla, soprattutto se da posizioni di autorità o in contesti istituzionali, ha una pesante responsabilità: ciò che diciamo cambia i limiti di ciò che può essere detto, sposta un po’ più in là i confini di ciò che viene considerato normale, assodato, legittimo. E cambiare i limiti di ciò che può essere detto cambia allo stesso tempo i limiti di ciò che può essere fatto: ci abituiamo a una mancanza di attenzione e vigilanza sulle parole, che rende più accettabile la mancanza di vigilanza sulle azioni.
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La nostra è un'epoca di spaventosa espansione della razionalità tecnica. Da un lato, questa espansione impone la rimozione delle emozioni e, dall'altro, innesca una reazione di ritirata nel proprio sentimento, assunto come unica legge di vita. A ciò si aggiunge la ricerca costante di visibilità e di notorietà, che trasforma le nostre emozioni in merci. Ma allora siamo ancora capaci di riconoscere che cosa sia un'emozione?
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Cosa possiamo dire ancora – attraverso il punto di vista della letteratura e della scienza, che in queste pagine viene come sublimato – sulla nostra natura, sull’identità e la memoria, sulle grandi domande esistenziali, e persino sul sesso, sull’arte, sulla possibilità di scrivere?
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