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SPINSANTI: COL COVID CI SIAMO SCOPERTI «STRANIERI MORALI», MA I MEDICI RISPETTANO LA VOLONTÀ DEI PAZIENTI.

giovedì 7 aprile 2022

di Silvia Giralucci

Basta la mascherina per capire da che parte stai. Basta vedere se ce l’hai o non ce l’hai o se, costretto a indossarla, tieni il naso fuori, per capire se sei dei nostri oppure uno 'straniero'. Straniero anche se abiti nello stesso Paese, vivi nella stessa città, nello stesso palazzo, anche nella stessa casa. Uno 'straniero morale' ha spiegato Sandro Spinsanti nel corso del primo webinar 2022 «Vivere sani, vivere bene online» della Fondazione Zoé - Zambon Open Education in collaborazione con il Giornale di Vicenza.

Intervistato dal Segretario Generale di Fondazione Zoé, Mariapaola Biasi, Spinsanti, uno dei massimi esperti italiani di bioetica, già docente di Etica medica all’Università Cattolica di Milano e di Bioetica all’Università di Firenze, ha analizzato quanto è accaduto tra le persone nei lunghi mesi della pandemia: sconosciuti con cui è capitato di battibeccare per strada, amici di una vita da cui improvvisamente ci si è sentiti lontani e persino famiglie che sono scoppiate con fratture insanabili. Perché l’atteggiamento da tenere nei confronti del Covid ha provocato una distanza così profonda da renderci stranieri gli uni agli altri?

«L’espressione ‘stranieri morali’ - spiega Spinsanti - è stata coniata dal bioeticista americano Tristam Engelhardt per spiegare la frattura che nasce tra persone di fronte a diverse valutazioni morali e alle scelte alle quali ci si trova di fronte a causa delle innovazioni in ambito medico e biologico. In Italia è stato così quando ci si è trovati a doversi schierare pro o contro l’aborto con un referendum. Accade così quando dobbiamo esprimerci sulla fecondazione artificiale o alla richiesta di suicidio assistito, sugli organismi geneticamente modificati o sul rifiuto di trasfusioni sanguigne. Essere ‘stranieri morali’ - spiega Tristam Engelhardt nel suo Manuale di bioetica - significa abitare in mondi morali diversi».

La riflessione di Spinsanti mette in luce che mentre per scoprire lestraneità morale nelle tematiche bioetiche prima del Covid era necessario avviare una conversazione esplicita su questi temi, la pandemia ha creato un giro di vite per cui già dalla questione della mascherina è chiaro da che parte si sta, se la persona che abbiamo di fronte è o meno un estraneo morale.

«Persone con le quali avevamo condiviso orientamenti politici e preferenze estetiche - spiega Spinsanti - persone che non avremmo esitato a chiamare amici di lunga data, di fronte alle questioni di spiegazione della pandemia, della necessità di vaccinarsi, di indossare la mascherina e di adottare misure precauzionali per non infettare e non essere infettati, hanno fatto affiorare unestraneità insanabile, ci siamo scoperti stranieri morali, sull’orlo di considerarci reciprocamente nemici morali».

Questa contrapposizione, che è faticosa nelle relazioni familiari e amicali, è ancora più complicata in ambito sanitario: «Se con un amico - spiega Spinsanti - si può scegliere di non parlarsi più, un curante non può chiudere la relazione con un paziente. E come deve comportarsi, allora, un medico? Il comitato etico della  società scientifica SIAARTI che riunisce anestesisti, rianimatori, medici di terapia intensiva ha redatto un documento sul comportamento da tenere nei confronti di pazienti che, pur affetti da Covid, rifiutano il ricovero in terapia intensiva o di sottoporsi a trattamenti salvavita. Il documento raccomanda di mantenere un atteggiamento non giudicante. Un medico ha il dovere di non tener conto della persona che cura, e di curare alla stessa maniera la persona di cui condivide il mondo morale come quella di cui non condivide le scelte. È un punto fondamentale per la sicurezza del paziente: non viene curato solo chi merita». 
Inoltre, gli anestesisti devono rispettare la volontà del paziente anche quando questo rifiuta un intervento salvavita, anche se questo può costare loro un prezzo emotivamente molto alto.

«C’è stato in questo - afferma Spinsanti - una rivoluzione copernicana nell’etica medica: il modello ippocratico che affidava al medico, in esclusiva, il giudizio sul trattamento che si riteneva portasse un beneficio al paziente, è stato messo in discussione negli ultimi 50 anni. In Italia - a dire il vero - la necessità del consenso informato è stata esplicitata nel codice deontologico dei medici solo nel 1995. La bioetica ha indotto una transizione epocale, richiedendo linformazione al malato e il suo consenso esplicito ai trattamenti. Una particolarità che spesso non viene debitamente evidenziata in questo cambio di paradigma è il ruolo dei familiari. Nel passato per lo più erano loro i veri interlocutori del medico. Il malato era spesso tenuto alloscuro di diagnosi e prognosi, comunicate invece ai congiunti; non era quindi in grado di prendere decisioni modellate sui suoi valori. Con il cambiamento in atto il potere decisionale è stato sottratto ai familiari, anche se motivati a procurare ciò che ritengono il massimo beneficio per la persona cha amano. È invece attribuito alla persona stessa del malato».

«Questo chiaramente  - conclude Spinsanti - non significa che è il paziente a decidere come curarsi, ma che la scelta della cura deve avvenire con una modalità nuova, fatta di condivisione  tra il paziente e il medico che ci mette la sua scienza e coscienza. E anche quando il medico non condivide la scelta del paziente, non lo abbandona. Anche il consenso informato deve essere visto non come una pratica di medicina difensiva, ma come un dialogo, un dialogo che presuppone la fiducia nelle riposte dell’altro. E per farlo, prima ancora dell’informazione è necessario l’ascolto, il tempo di cura».

 

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